QUITO NON È HONG KONG
Il Fondo Monetario Internazionale stringe il cappio al collo ad un nuovo paese, l’Ecuador. A seguito dell’accordo per un ingente prestito scattano le consuete condizioni: taglio degli stipendi, privatizzazioni, smantellamento dei servizi pubblici ed aumento del prezzo della benzina. Il neoliberismo non ha molta fantasia. Ma il popolo ecuadoregno non ci sta. In questi giorni ogni città del paese è teatro di grandi manifestazioni e violenti scontri. Il Presidente Lenin Moreno, traditore della Revolucion Ciudadana inaugurata da Correa, scappa dalla capitale e dichiara lo Stato di Emergenza in tutto il paese. I blindati dell’esercito sono entrati a Quito ma alcuni reparti delle forze armate hanno iniziato ad abbassare le armi ed a sfilare coi manifestanti. Il popolo della sierra, fatto dalle comunità indigene, ha sta raggiungendo la città per unirsi alle grandi manifestazioni (foto).
Ma non vedrete nulla di tutto ciò nei nostri organi di stampa. Perché quando è la rabbia del popolo a scendere in piazza, e non le marionette manovrate dai grandi interessi occidentali, è meglio far finta di niente. Qui non siamo a Hong Kong, non siamo a piazza Maidan a Kiev, non siamo nelle guarrimbas di Caracas. Qui non ci sono bandiere di potenze straniere, qui non si chiedono interventi militari dall’estero, qui nessun manifestante viene ricevuto nelle ambasciate. Qui siamo tra le strade dell’America Latina rebelde, tra le facce sporche e le mani callose del popolo che grida “Patria o muerte” e “El pueblo unido jamas sera vencido”. Qui siamo tra gli uomini e le donne che con fatica stavano riconquistando la propria dignità grazie al Socialismo del XXI secolo. E che non la venderanno al traditore di turno.
