LIBRI

Di seguito riportiamo con piacere alcuni titoli, con una breve descrizione, che abbiamo avuto modo di presentare in passato o che semplicemente ci sentiamo di consigliare.

– Sezione in ampliamento –

 

 “LA BATTAGLIA DI STALINGRADO”

di Vasili Ciuikov

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“Si batté, come fusa nell’acciaio, la città guerriera, la fiera Stalingrado». Ora dopo ora. Metro dopo metro. Fino alla vittoria finale. Bisogna leggerlo questo libro sulla battaglia di Stalingrado. Sono le memorie del generale dell’Armata Rossa Vasili Ciukov. Protagonista della difesa della città e poi della battaglia di Berlino. Sono pagine scritte in prima persona da chi, quei giorni tremendi e eroici, tra le rovine della città sulle rive del Volga li ha vissuti da protagonista. Ciukov mette da parte la retorica e racconta i momenti difficili quando sembrava che i nazisti stessero per vincere la battaglia. L’eroismo dei soldati russi, l’orgoglio della popolazione di Stalingrado, l’incessante fragore delle bombe, la morte di tanti compagni che fino ad un minuto prima erano al suo fianco. Al comando della 62esima armata, al momento di accettare l’incarico, giurò: «O difenderemo Stalingrado o moriremo». La resa non era prevista. E non ci fu.

 

 “IL GOBBO DEL QUARTICCIOLO E LA SUA BANDA NELLA RESISTENZA”

di Massimo Recchioni e Giovanni Parrella

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Bandito sociale, partigiano e criminale. ll Gobbo del Quarticciolo, si chiama in realtà, Giuseppe Albano. Nato in calabria si trasferisce a Roma e, dopo l’8 settembre, entra nella banda, di orientamento socialista, di Franco Felice Napoli. Da quel momento diventa l’incubo dei nazifascisti, che di lui, più che il volto, conoscono bene qualla protuberanza sulla spalla destra che gli vale il soprannome. Arrestrato, finisce a via Tasso dove sarà scarcerato alla Liberazione, il 4 giungo 1944. Ed è adesso che la storia si complica. Albano si guarda intorno e capisce che, nonostante la sconfitta del fascismo, per gli sfruttati le cose non sono cambiate. Lui e i suoi uomini erano l’emblema di quel “proletariato”, ribelle poco incline ai giochi della politica e della mediazione opportunistica. Eretici, anche i partiti della sinistra, Pci in primis. Così, dopo la Liberazione, Albano prende a frequentare l’Unione proletaria di Umberto Salvarezza, un partitino ambiguo, composto da ex fascisti. Nel frattempo la carriera criminale prosegue. In un crescendo di azioni, espropri nei confronto di chi si era arricchito con la borsa nera e distribuzione di cibo nelle borgate. Ma anche a colpi di testa e azioni distanti da quell’anima da Robin Hood di borgata che rubava ai ricchi per dare ai poveri. Fino ai sei colpi che lo uccidono. La versione ufficiale è che morì in un conflitto a fuoco con i carabinieri che lo ricercavano per la morte del militare inglese. Ma il libro rivela un’altra verità fino ad oggi sconosciuta.

 

 “LA GUERRA NON ERA FINITA- I PARTIGIANI DELLA VOLANTE ROSSA”

di Francesco Trento

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C’è chi li ha liquidati come dei semplici assassini. Gente che, nel 1945, a guerra finita coltivava il sogno di una Repubblica Rossa. Mitizzati, poi cancellati dalle pagine di storia. Troppo imbarazzanti per un partito, il Pci, di cui erano figli e che prima li ha «usati» e poi rimossi. È una storia negata quella della Volante Rossa, il gruppo di partigiani che, nella Milano del 1945, continua combattere armi in pugno. Non più sui monti, ma dentro le città. Sono pochi, non più di 50, giovanissimi: dai 14 ai vent’anni. Li guida Giulio Paggio, «il tenente Alvaro». Per capire la storia della Volante Rossa, bisogna ricostruire il clima che si respirava in quei giorni in Italia. È quello che fa Francesco Trento nel suo libro “La guerra non è finita – I partigiani della Volante rossa”. Mussolini e Hitler sono sconfitti, l’Italia torna libera. Ma i fascisti sono tutt’altro che scomparsi. Paggio e i suoi scelgono un nome (che si ispira ad una formazione partigiana che agiva in Val d’Ossola), una sede (la casa del popolo in via Conte Rosso a Lambrate), un inno di battaglia, una divisa (un giubbotto da aviatore con una toppa con il nome sul braccio). Si armano, sparano e uccidono. Sempre in sella a una bicicletta. Questa è la loro storia. Che finirà male. I vertici del gruppo, inseguiti dalla legge, riparano in Cecoslovacchia per sfuggire all’ergastolo, per gli altri ci saranno 23 condanne e 4 condanne al carcere a vita. E l’oblio.

 

 “STORIE DI GAP”

di Santo Peli

storie di gap

Questa è la prima vera storia dei Gap, i Gruppi di Azione Patriottica. Una storia, la loro che si può definire unica, sia per l’ortodossia comunista dei suoi militanti sia per la specificità delle azioni: guerriglia in città, che poi significa uccisioni faccia a faccia, attentati dinamitardi in ristoranti, caffè e bordelli frequentati dai nazifascisti. Azioni che avevano come unico scopo di portare scompiglio nelle città del Centro-Nord occupate dai nazisti nell’autunno del 1943. In questo libro, origini, sviluppo, difficoltà, successi e fallimenti dei Gap vengono analizzati nell’unico contesto che li rende comprensibili, nella storia della Resistenza. Le condizioni nelle quali i Gap agiscono, le risorse di cui dispongono, la difficile decisione di uccidere a sangue freddo, il rapporto con le rappresegnali dopo le loro azioni, le tortura e la morte. Il libro racconta le azioni dei Gap (l’attentato a Via Rasella a Roma, l’uccisione di Giovanni Gentile a Firenze, gli atti contro singoli esponenti dell’esercito occupante e dei comandanti repubblichini a Torino e a Milano) e la loro clandestinità che in realtà lo era fino a un certo punto. Fino al complesso rapporto con il Pci. Una storia tutta da conoscere.

 

 “ARDITI DEL POPOLO”

di Eros Francescangeli

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Per molti anni dimenticati, troppo spesso ingiustamente confusi con il fascismo, scomodi in quanto unici, gli Arditi del Popolo nascono per fare argine allo squadrismo nero all’inizio degli anni ’20. Hanno alle spalle la prima guerra mondiale, la guerra di trincea e l’impresa di Fiume. Nascono da una scissione della sezione romana degli Arditi d’Italia e li guida l’anarchico Argo Secondari. L’obiettivo è chiaro: opporsi alla violenza dei fascisti. Hanno una bandiera: una scure che spezza il fascio littorio e uno stemma, il teschio col coltello fra i denti e la corona di alloro sulla fronte. Antonio Gramsci li appoggia, Lenin li loda sulla Pravda. Non sono pochi: la stima oscila tra i 20 e i 50 mila aderenti tra militanti e simparizzanti. Ci sono comunisti, anarchici, socialisti, sindacalisti rivoluzionari, anche alcuni cattolici. Sul campo si fanno sentire. Mettono in fuga i fascisti a Viterbo e Sarzana, resistono, nella storica di Parma nel 1922 ai fascisti di Balbo, unica sconfitta subita dai fedelissimi del Duce prima della Marcia su Roma. Ma nubi bere si addensano sugli Arditi del Popolo. Il partito comunista li isola, anche i socialisti li lasciano soli mentre fuori il fascismo dilaga. A chiudere i conti ci pensa il governo Bonomi che fa scattare una dura repressione che piega le gambe all’organizzazione. I prefetti fanno scattare arresti a raffica, intimando agli Arditi di sciogliersi. Mentre fuori i fascisti avanzano indisturbati.

 

 

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